sabato 25 dicembre 2010

L'Atteso è tra noi, è in noi, è Presente



"Oggi lo saprete:
il Signore viene.
Col nuovo giorno 
vedrete la Sua Gloria!"


Possa questa Presenza concreta darvi gioia! 
Buon Natale!

venerdì 24 dicembre 2010

"Alle nozze di Canaan viene a mancare il vino: manca la passione, l'entusiasmo per il vivere: come fare per averlo? Maria dice: fate tutto quello che vi dirà. Il Signore viene concretamente. Se lo accogli trasforma l'acqua in vino: tutto cambia."
Gesù ha affidato Giovanni alla Madonna e viceversa; la sera, quando il cuore grida la nostalgia dell'incontro chi sta vicino alla Madonna? Giovanni. Lui è la testimonianza viva di Dio, della sua Presenza, della sua cura per Lei. Così i testimoni sono la prova tangibile di Dio.
"... Fare le piccole cose come fossero grandi in forza di Gesù Cristo che le fa in noi, e fare quelle eroiche come fossero piccole, a motivo della sua onnipotenza."

sabato 18 dicembre 2010

Domenica in festa

"Eravamo poveri, ma all'imbrunire del sabato, quando appariva la prima stella, tutto parlava di festa. I nonni e i papà si radevano la barba ed era pronta la camicia bianca.
Un falso concetto di semplicità e familiarità ci ha portato in questi anni a trattare il Signore con troppa disinvoltura. La norma per molti, oggi,è giacca e cravatta per l'ufficio, e pantofole o tenuta da riposo per la domenica. Per leggere una lettura nella Messa al cospetto dell'Altissimo tutto può andare bene.
Alla domenica mi vesto da festa prima di tutto per Dio, perchè mi presento davanti a tutto il Paradiso.
La ricchezza e il benessere rendono gli uomini "festaioli", ma incapaci di essere in festa. Il mettersi a tavola, alla domenica, dovrebbe avere la caratteristica della festa. La liturgia non è un momento isolato della giornata: tutto ormai per noi dev'essere vissuto liturgicamente. Si tratta di una grande presa di coscienza sullo scopo della nostra vita. Siamo stati creati per la festa, e la domenica è segno-sacramento-anticipo della domenica senza tramonto.
Nel giorno del Signore deve avere il primato il tu-per-tu, il rapporto con Dio e con i fratelli. Questo è anche il senso della cessazione del lavoro.
Il termometro di un cristiano, di una comunità, di una famiglia, è la domenica.
Dobbiamo uscire dalla Messa con la faccia della gioia perchè abbiamo incontrato il Creatore della festa!"

Domenico Machetta, Le luci del sabato

  

martedì 14 dicembre 2010

Passato l'esame di Taekwondo!



"Tenetemi il mantello, che do un pugno a Bupalo sull'occhio.
  So usare le due mani, e non sbaglio quando picchio. "


Ipponatte, frammenti 121-122
  

mercoledì 8 dicembre 2010

L'Avvento e l'attesa



"(...) L’attesa, l’attendere è una dimensione che attraversa tutta la nostra esistenza personale, familiare e sociale. L’attesa è presente in mille situazioni, da quelle più piccole e banali fino alle più importanti, che ci coinvolgono totalmente e nel profondo. Pensiamo, tra queste, all’attesa di un figlio da parte di due sposi; a quella di un parente o di un amico che viene a visitarci da lontano; pensiamo, per un giovane, all’attesa dell’esito di un esame decisivo, o di un colloquio di lavoro; nelle relazioni affettive, all’attesa dell’incontro con la persona amata, della risposta ad una lettera, o dell’accoglimento di un perdono… Si potrebbe dire che l’uomo è vivo finché attende, finché nel suo cuore è viva la speranza. E dalle sue attese l’uomo si riconosce: la nostra “statura” morale e spirituale si può misurare da ciò che attendiamo, da ciò in cui speriamo.

Ognuno di noi, dunque, specialmente in questo Tempo che ci prepara al Natale, può domandarsi: io, che cosa attendo? A che cosa, in questo momento della mia vita, è proteso il mio cuore? E questa stessa domanda si può porre a livello di famiglia, di comunità, di nazione. Che cosa attendiamo, insieme? Che cosa unisce le nostre aspirazioni, che cosa le accomuna? Nel tempo precedente la nascita di Gesù, era fortissima in Israele l’attesa del Messia, cioè di un Consacrato, discendente del re Davide, che avrebbe finalmente liberato il popolo da ogni schiavitù morale e politica e instaurato il Regno di Dio. Ma nessuno avrebbe mai immaginato che il Messia potesse nascere da un’umile ragazza quale era Maria, promessa sposa del giusto Giuseppe. Neppure lei lo avrebbe mai pensato, eppure nel suo cuore l’attesa del Salvatore era così grande, la sua fede e la sua speranza erano così ardenti, che Egli poté trovare in lei una madre degna. Del resto, Dio stesso l’aveva preparata, prima dei secoli. C’è una misteriosa corrispondenza tra l’attesa di Dio e quella di Maria, la creatura “piena di grazia”, totalmente trasparente al disegno d’amore dell’Altissimo. Impariamo da Lei, Donna dell’Avvento, a vivere i gesti quotidiani con uno spirito nuovo, con il sentimento di un’attesa profonda, che solo la venuta di Dio può colmare".

Benedetto XVI, Angelus di domenica 28 novembre 2010

martedì 7 dicembre 2010



                "La speranza divampa!"






Una delle mie frasi preferite da "Il Signore degli anelli"

    

L'esperienza della Rivelazione


Dal mio libro di storia
"In primo luogo, l'Illuminismo mise radicalmente in crisi il concetto stesso di Rivelazione divina, dato che non riconosceva altro criterio di verità se non la ragione e l'esperienza."

Gli illuministi hanno saltato solo un minuscolo particolare: che la Rivelazione è confermata nella realtà dall'esperienza. Poverini.

Tutti i fattori non giustificano il risultato: puoi vivere una serie di circostanze perfette e bellissime e non essere felice; puoi vivere delle circostanze terribile, ma se hai Cristo essere felice.
E Cristo in ogni momento ti da di più il gusto di vivere.
Poco tempo fa un'amica mi ha scritto: "... è da sabato sera dopo la festa del Gio che ripenso alla serata e mi commuove pensare a come con voi di gs riesca a divertirmi senza fare nulla di speciale... è davvero bello il modo in cui stiamo insieme, completamente diverso da quello con cui sto con i miei amici... bom, volevo dirtelo perchè sono rimasta davvero contenta..."

giovedì 2 dicembre 2010

Carmen LXXVI, Catullo

CARMEN LXXVI (76)
Se c’è qualche piacere per un uomo a ricordare le buone azioni compiute nel passato,  quando considera di essere devoto e di non aver violato la sacra parola data e di non aver abusato in nessun patto della maestà degli dei per ingannare gli uomini, rimangono in serbo per te, o Catullo, in un lungo lasso di tempo molte gioie dopo questo amore infelice. Infatti tutto quello che gli uomini possono dire o fare di bene per qualcuno, da te è stato fatto. Ma tutto ciò è andato perduto essendo stato affidato a un animo ingrato. Pertanto perché ormai dovresti tormentarti ancora? Perché non ti rinfranchi nell’animo e non ti ritrai da tutto ciò poiché gli dei non vogliono non smetti di essere infelice? È difficile liberarsi d’un tratto da lungo amore, è difficile, ma devi farlo in qualunque modo: questa è la sola salvezza, in questo devi stravincere, questo devi fare, che sia impossibile o possibile. O dei, se è vostra prerogativa avere compassione, o se mai avete recato aiuto a qualcuno all’ultimo momento, ormai proprio in punto di morte, volgete il vostro sguardo su di me infelice e se ho condotto la vita con purezza strappate da me questo male e questa rovina che insinuandosi come una paralisi nel profondo delle membra ha cacciato completamente dal mio cuore la gioia. Non chiedo più che ella mi ami contraccambiandomi oppure, cosa che non è possibile, che voglia essere virtuosa: desidero stare bene io e liberarmi di questa orribile malattia. O dei fatemi questa grazia in cambio della mia devozione.

Un piccolo riassunto della storia: Catullo, dopo aver amato Lesbia con tutto il suo cuore venendo contraccambiato è stato da lei tradito e abbandonato. Lesbia non vuole più saperne di lui, ma lui non riesce a smettere di amarla benchè ci provi con tutte le sue forze e la sua ragione cerchi di convincere il suo cuore a smettere di pensare a lei.
A parte la mentalità originale di Catullo e alcune sue concezioni legate ancora al mos maiorum (il costume degli antenati e cioè la tradizione) ci sono molte cose che mi hanno colpito. In ordine: 
gli dei vogliono che tu smetti di essere infelice.
O dei volgete lo sguardo su di me infelice (inserito nel suo contesto): Catullo si accorge che da solo non ce la fa. Non riesce a dimenticare Lesbia, a essere felice. Da solo non ci riesce. Eppure i suoi ragionamenti non fanno una piega: ti ha tradito, ti ha lasciato: dimenticala! E così intanto la ragione da sola non può far nulla. E Catullo riconosce che l'unica sua salvezza sono gli dei. Lui, uomo con tutti i suoi limiti, non riesce a essere felice in questo tempo. E perchè Catullo si convince che ha bisogno del loro aiuto?
Per convenienza. Il motivo per cui i cristiani (veri) sono diventati tali. Desidero stare bene io. Nella vita c'è in gioco la mia felicità. Quando parto da questa considerazione comincia la mia salvezza. Che naturalmente è operata attraverso gli altri e per gli altri.
L'Invocazione di Catullo: il desiderio della salvezza e forse l'inizio della consapevolezza del Tu che mi fai (ma non voglio esagerare)
   

Sullo studio

Vado a scuola da 12 anni. E in 12 anni non ha ancora capito che cos'è. E' un piccolo problema, no?
In questi tempi ho avuto molte verifiche e mi sono ridotta a preparare una interrogazione di latino in 2 giorni. Una cosa un tantino angosciante per gli studenti del liceo classico di Biella. Ieri dunque ero alla guerra con i Carmen Catulliani (misér Catùlle dèsinàs inèp-tiiiiire). Non è facile studiare 25 pagine di appunti in tre ore e quindi a un certo punto mi sono fermata. Ho fissato lo sguardo sul muro. E mi son detta:  ignorante. Lasciamo stare tutti i discorsi: devi studiare volta per volta, non accumulare, appassionati a quello che studi (AVANTI, VOGLIO CHE CHI SI è MAI APPASSIONATO DI CATULLO MI SCRIVA SUBITO UN COMMENTO CON UNA MOTIVAZIONE VALIDA!!!). In tutta la mia mente rimbombava un unico enorme pensiero: hai perso un'occasione. Hai perso un'occasione. "Homo sum: humani nil a me alieno puto (questo è Terenzio). Comprendere e conoscere: anche questo l'animo umano desidera, perchè il conoscere di più lo avvicina all'Infinito. Ho perso un'occasione per la vita.
  

Suicidio

"Il suicidio non è solo un peccato, è il peccato. È il male supremo e assoluto, il rifiuto di qualsiasi interesse per l’esistenza, il rifiuto di prestare fedeltà alla vita. L’uomo che uccide un uomo, uccide un uomo. L’uomo che uccide se stesso, uccide tutti gli uomini: annienta il mondo. Il suo gesto è peggiore (dal punto di vista simbolico) di qualsiasi stupro o attentato dinamitardo. Perché distrugge tutti gli edifici ed offende tutte le donne. Il ladro è appagato dai diamanti, il suicida non lo è: questo è il suo crimine. Non si lascia corrompere nemmeno dalle pietre sfolgoranti della Città Celeste. Il ladro esalta gli oggetti che ruba, se non il loro proprietario. Ma il suicida insulta tutto ciò che esiste al mondo non rubandolo. Rifiutando di vivere per amore di un fiore, guasta tutti i fiori. In tutto l’universo non c’è una sola creatura minuscola per la quale la sua morte non sia una beffa. Quando un uomo s’impicca a un albero, le foglie potrebbero cadere incollerite e gli uccelli volare via furiosi, poiché ognuno di essi ha ricevuto un affronto personale". (pag 102)

"Il fatto di seppellire il suicida separato dagli altri defunti ha un significato. Il crimine di quell’uomo è diverso dagli altri crimini, perché rende impossibili persino i crimini". (pag 103)

"Il suicida, ovviamente, è l’opposto del martire. Un martire è qualcuno che ama così tanto qualcosa che sta fuori di lui da dimenticare la propria vita. Il suicida è un uomo che ama così poco qualsiasi cosa stia fuori di lui da desiderare di vedere la fine di tutto. Il primo vuole che qualcosa cominci, il secondo vuole che tutto finisca. In altre parole, il martire è nobile, proprio perché (per quanto rinunci al mondo o detesti tutta l’umanità) confessa questo estremo legame con la vita e pone il suo cuore fuori da se stesso: muore affinché qualcosa possa vivere. Il suicida è ignobile perché non possiede tale legame con l’esistenza: è un semplice distruttore, personalmente distrugge l’universo". (pag 103)

Ortodossia, G. K. Chesterton

lunedì 29 novembre 2010

Occhi comuni extraordinari


Il film de "Il signore degli anelli" è razzista! =) Infatti gli attori principali hanno tutti gli occhi azzurri!!! Naturalmente scherzo, ma è vero: hanno quasi tutti gli occhi chiari, verdi o azzurri. "Perchè devono essere nordici" ha detto mio fratello. Tuttavia, in qualità di possessore di occhi marroni protesto e riprotesto. Vero è che a questo punto gli occhi marroni diventano una cosa fuori dall'ordinario, ma sulla terra che ho sotto i piedi no. Nell'ora di biologia una volta siamo finiti a parlare del colore degli occhi e la prof ha concluso una frase così: "Non si può dire se sono meglio gli occhi chiari o quelli scuri..." "Meglio scuri!" faccio al mio compagno di banco (che ha gli occhi chiari!). Troppo forte, ha sentito anche la prof: "Vedi che va a gusto? A me per esempio piacciono di più quelli chiari". Ero lì lì per dirgli che erano meglio scuri solo perchè li avevo io, ma mi son fermata perchè spesso quando faccio una battuta non la capiscono e non volevo passare proprio per  una così tanto egocentrica. Comunque così è, mi piacciono gli occhi chiari ma li ho scuri e me li tengo (e anche volentieri) con in mente la frase di Chesterton: "Dio ama la gente comune perché ne ha fatta tanta"...
 

domenica 28 novembre 2010

Colletta alimentare

Perchè lavorare 2 ore invece di studiare o rilassarsi per sentirsi dire: "No grazie!" o un brusco semplice "No!" oppure per sentirsi ignorati da gente che non ti guarda nemmeno passando? Oppure, è vero, anche per sentirsi dire "Sì..." o, ancora meglio, "Sì grazie!", per vedere gente che tende la mano per ricevere il sacchetto ancor prima che tu lo domandi, o che ti viene a cercare addirittura per riceverlo. Per spiegare a quelli che ti guardano con sguardo smarrito che non è un volantino  di informazione, ma l'occasione di un dono. Il dare il sacchetto a uno che non ne sa niente e cade dalle nuvole e anche questo occasione di un grande bene: magari si incuriosirà e chiederà. E a chi chiede: "Perchè devo fare questa colletta? Do i soldi, perchè devo dare cibo?" si risponde: "Per dare un aiuto concreto adesso", mentre si pensa "è vero.. come mai fare così?" e ci si fa un bell'esame dei motivi che animano ogni nostra azione. Vedere molti musulmani che danno (la carità appartiene all'uomo credente) discutere e spiegare.
Mentre molti che passano sembrano trascinata dalla corrente di un fiume che impedisce loro di fermarsi e capire quello che sta succedendo, qualcuno prende il sacchetto, non capisce, chiede, entra all'esselunga, compra qualcosa solo per la colletta e te lo porta chiedendo a chi deve darlo. Questo mi è successo con un ragazzo e ci sono rimasta davvero di sasso. E probabilmente lui non si sarà reso conto di quello che ha fatto. Non solo ha voluto fermarsi a capire ciò che gli succedeva, ciò che gli avevamo proposto, ma ha anche intravisto per lui qualcosa di buono e bello, che penso gli abbia alleggerito il portafoglio e riempito  un po' di più l'anima.
E arrivata a casa ho abbracciato tutta la famiglia, sentendomi come Ulisse che torna a casa dopo aver a lungo errato.
 

Quindi pensate!


"Non ognuno che pensa crede … ma ognuno che crede pensa [...]"



Sant'Agostino
    

lunedì 22 novembre 2010

Fallisci ma gioisci

In questo periodo sono molto stanca e un po' annoiata dal molto studio e altro. E allora in un secondo libero mi son riguardata qualche foto di quest'estate e me n'è capitata una che mi ha fatto il mio padrino mentre mangio un gelato e lo guardo con aria di rimprovero (guai a disturbarmi mentre mi nutro). Già lì son quasi scoppiata a ridere, cioè ero ridicola! Poi le foto che avevo fatto al parco della Burcina (una bella collina di Biella) da mandare a un concorso. L'unico problema era che a quel tempo avevo dimenticato di mettere titolo, esecutore e altri dati per cui mi ero accorta di essermi autoesclusa (ridicola doppia!) :D A tempo debito ne ero stata diciamo oltremodo afflitta, perchè (a parer mio) le foto erano di alta qualità. E ora riguardandole mi son resa conto di quanto son ridicola e di come la vita sia bella e divertente anche quando non sai dove girarti perchè hai verifiche a tutto spiano. Ci voleva proprio un concorso fallito per tirarmi su adesso!
"L'Eutrapelia è il sorriso buono, virtù imparentata con la modestia: ci aiuta a non darci troppa importanza e a non montare in superbia. Chesterton, un grande eutrapelico, diceva che il motivo per cui gli angeli volano è che si prendono alla leggera..."

(Quel cristiano di Guareschi, Ancora, pag 40)

sabato 20 novembre 2010




"La prima condizione per trovare la felicità è riconoscersi infinito bisogno."
  

venerdì 19 novembre 2010

giovedì 18 novembre 2010

... L'importanza dei nomi

Visto che qualcuno mi ha chiesto di leggerglielo, pubblico il mio tema diventato ormai quasi (che vergogna) famoso. Francesco ha detto:"Comunque il nome è importante... Dio ci chiama con il nostro nome."




Nel nostro nome tutta la nostra storia

"è una faccenda difficile mettere il nome ai gatti; [...]
 vi assicuro che un gatto deve avere in lista
 TRE NOMI DIFFERENTI. Prima di tutto quello che in famiglia
 potrà essere usato quotidianamente, [...],
 Ma io vi dico che un gatto ha bisogno di un nome
 che sia particolare e peculiare, più dignitoso;
 come potrebbe, altrimenti, tenere la coda perpendicolare,
 mettere i baffi in mostra o sentirsi orgoglioso?
 Comunque gira e rigira manca ancora un nome:
 Quello che non potete nemmeno indovinare,
 nè la ricerca umana è in grado di scovare;
 ma IL GATTO LO CONOSCE, anche se mai lo confessa.
 Quando vedete un gatto in profonda meditazione
 la ragione, credetemi, è sempre la stessa:
 ha la mente perduta in rapimento ed in contemplazione
 del pensiero, del pensiero, del pensiero del suo nome:
 del suo ineffabile effabile
 effineffabile
 profondo inscrutabile ed unico NOME"                                                                                       (1)
Che rapporto c'è fra il nome di una persona e la vita che le sta davanti e dietro? L'argomento può sembrare banale per chi è immerso negli eventi, nelle fatiche e nelle gioie della vita quotidiana, eppure in così tanti fin dall'antichità hanno cercato di trovare una risposta a questa domanda! Il nome è un elemento indissolubilmente legato alla vita di una persona: la accompagna  infatti per tutta la sua esistenza e spesso è la prima cosa che si presenta agli occhi degli altri. Se qualcuno ha un nome ridicolo la gente comincerà a deriderlo  magari ancor prima di vederlo. Collodi ha scritto un racconto su un uomo bello, ricco, affascinante, ma... con un nome ridicolo. (2) La vita gli sorride finchè non svela il suo nome. Si sposa con una donna bellissima che però disprezza coloro che hanno dei nomi assurdi e quindi è costretto a nasconderlo per tutta la vita. Ma una persona è condizionata, anzi, è costruita sul significato del suo nome? Capita di leggere sui necrologi nomi spesso buffi o imbarazzanti, e anche molto. Ma certamente è indicativo il fatto che i loro proprietari abbiano vissuto una vita senza cambiarli. Evidentemente nel nome
c'è qualcosa di meno che la descrizione di una persona (e in questo siamo completamente staccati da esso), ma c'è anche qualcosa di più che un semplice accidente. Manzoni nell'introduzione de "I promessi sposi" termina la trascrizione del manoscritto proprio con questa frase: "[...] i nomi non sono altro che accidenti...". (3) Subito dopo troviamo una brusca e decisa interruzione, quasi Manzoni si rifiutasse di continuare a scrivere una cosa del genere. E nel suo romanzo troviamo un personaggio che ha molto da dirci su questo: l'Innominato, l'uomo di cui Manzoni non dice il nome, in teoria perchè uomo potente
ancora in vita al tempo dell'autore del manoscritto. Perchè Manzoni non nomina questo personaggio? Il nome non determina un destino: l'Innominato non si chiama in un certo modo, perchè è un ladro e un assassino nè perchè poi si convertirà. Bisogna notare che Manzoni non ha fatto dell'Innominato un personaggio simbolico, benchè molti lo pensino: egli non ha un nome che potrebbe essere "Peer Fortunato", personaggio di Andersen (4), ma è senza nome appunto: non simboleggia gli uomini che dopo aver condotto una vita libertina e "malvagia" si convertono: a ognuno è data l'occasione di incontrare la fede, in vari momenti della vita e l'uomo è perfettamente libero di sceglierla o rifiutarla. Anche Shakespeare ha ragione, benchè possa sembrare in contrasto quanto detto prima, quando scrive: "Che c'è in un nome? Quella che chiamiamo rosa anche con un altro nome, avrebbe lo stesso soave odore"(5). Ma se l'Innominato è ciò che è a prescindere dal nome, il sostantivo "innominato" assume poi tutto il significato della sua vita: il suo nome indicherà tutto ciò che lui è: "Avevi scritto già il mio nome lassù nel cielo"(6) dice un canto sacro e "un nome una storia" la saggezza popolare. Non per niente il Senhal di una donna, il nome con cui veniva chiamata in poesia, indicava ciò che la donna era, magari una delle sue caratteristiche che più avevano colpito il poeta: la bellezza, la gloria, l'umiltà... Il nome con cui siamo chiamati perciò si lega profondamente alla nostra persona. "Come lo sapesse che il mio nome era proprio quello..."(7) dice un altro canto sacro. Inoltre il nostro nome non si lega solamente a ciò che è la nostra anima, ciò che siamo interiormente, ma anche al nostro corpo, al nostro aspetto. Per questo non è esatto affermare ciò che Eco scrive nella prima pagina de "Il nome della rosa": "Rosa stat pristina nomine: nomina nuda tenemus"(8): noi non teniamo solo i nomi delle cose, vuoti e senza significato: la rosa non è condizionata dal suo nome, ma il nome rosa indica tutto quello che è e nel nome rivive il suo ricordo; ciò che la rosa ci ha dato non potrà essere cancellato dalla sua scomparsa: se la rosa ci ha cambiato essa potrà anche sfiorire, ma noi rimarremo cambiati e resteremo persone diverse da prima. E vedendo ciò che la rosa ha fatto in noi non si potrà dire che essa non esiste più: il suo ricordo è vivo e presente in noi. Noi conteniamo una parte di ciò che la rosa è e quella parte vive in noi. Il nostro nome contiene tutte le circostanze, le persone e gli affetti che ci hanno costruito come uomini. E dunque, come si può non considerarlo importante?


(1) T. S. Eliot, da Il libro dei gatti tuttofare, The naming of cats
(2) Collodi, Opere, "Un nome prosaico"
(3) Alessandro Manzoni, "I promessi sposi"
(4) Andersen, "Peer Fortunato", storia di un giovane che dopo aver avuto successo e fama nel teatro      muore all'apice della sua carriera ed è considerato per questo fortunato.
(5) W. Shakespeare, Romeo e Giulietta
(6) "Il disegno", canto sacro
(7) "Vocazione", canto sacro
(8) U. Eco, Il nome della rosa

Come avrei voluto poter parlare di un'altra Rosa!

lunedì 15 novembre 2010

Ore da 60


...

"Le circostanze per cui Dio ci fa passare sono fattore essenziale e non secondario della nostra vocazione, della missione a cui ci chiama."

(Don Giussani, "Dalla fede il metodo" pag 4)

giovedì 11 novembre 2010

Lutero

E in tutte le scuole lo presentano come un uomo giusto e santo!!!!!!!!!

Martino Lutero: qualche spunto di realtà


Nel 1510 Martino Lutero, allora monaco agostiniano, si recò a Roma per portare una lettera di protesta in merito a una diatriba interna al suo Ordine. La volgata protestante vorrebbe che, di fronte al desolante spettacolo di decadenza ("una cloaca", dirà lui in riferimento sia all'Urbe che alla Chiesa), il monaco di Wittemberg fosse rimasto scioccato. Il ché avrebbe innescato in lui prima il rigetto, poi il dubbio e infine la ribellione. Dunque, una reazione forse esagerata ma tutto sommato giustificata. "Il cattolico Lutero rivoluzionario per caso", titolava Paolo Mieli sul Corriere della Sera, spiegando che "egli fu trascinato dagli eventi alla rottura con Roma" (02-10-2010).

Un'attenta lettura delle fonti originali ci fa vedere, invece, uno spirito irrequieto e già incline alla ribellione. Nel 500° anniversario del viaggio di Martino Lutero a Roma, forse è il caso di gettare uno sguardo su alcuni di questi documenti, che altro non sono che le stesse opere (Werke) di Martino Lutero, nelle due edizioni ufficiali: quella di Wittemberg (1551) e quella di Weimar (1883). Conviene anche rilevare che gli autori citati — Emme, Brentanno, De Wette e Bruckhardt — sono tutti protestanti.


1.
 La "vocazione" religiosa di Lutero


L'ingresso di Martino Lutero nell'Ordine agostiniano non fu dovuto tanto ad una vocazione religiosa quanto al fatto che era latitante e voleva sfuggire alle autorità. Quando era studente di Diritto all'Università di Erfurt, Lutero si batté a duello con un compagno, Gerome Bluntz, uccidendolo. Per sfuggire alla giustizia, egli entrò allora nel monastero degli Eremiti di S. Agostino (1). Lo stesso Lutero ammise il vero motivo del suo ingresso in monastero: "Mi sono fatto monaco perché non mi potessero prendere. Se non lo avessi fatto, sarei stato arrestato. Ma così fu impossibile, visto che tutto l'Ordine Agostiniano mi proteggeva" (2).

Purtroppo, nel monastero non imparò a diventare buono. Egli stesso confessava in un sermone del 1529: "Io sono stato un monaco che voleva essere sinceramente pio. Al contrario, però, sono sprofondato ancor di più nel vizio. Sono stato un grande furfante ed un omicida" (3). La sua vita spirituale era in rovinoso declino. Nel 1516, Lutero scrisse: "Raramente ho il tempo di pregare il Breviario e di celebrare la Messa. Sono troppo sollecitato dalle tentazioni della carne, del mondo e del diavolo" (4). Ancora nel 1516 egli dichiarava: "Confesso che la mia vita è sempre più prossima all'inferno. Giorno dopo giorno divento più abietto" (5).

Nel convento, Lutero era soggetto a frequenti crisi di nervi, ad allucinazioni deliranti, in preda anche a segni di possessione. Nel guardare il crocifisso egli spesso era assalito da convulsioni e cadeva a terra (6). Quando celebrava la Messa, era preso dal terrore:"Arrivato all'Offertorio ero così spaventato che volevo fuggire. Mormoravo ‘Ho paura! Ho paura!'" (7).

Agitato, nervoso, continuamente in crisi, tentato dal diavolo (che, secondo lui, gli appariva in forma di un enorme cane nero col quale condivideva perfino il letto) roso dai rimorsi, Lutero cominciò a formarsi l'idea che fosse predestinato alla dannazione eterna, e questo gli faceva odiare Dio: "Quando penso al mio destino dimentico la carità verso Cristo. Per me, Dio non è che uno scellerato. L'idea della predestinazione cancella in me il Laudate, è un blasphemate che mi viene allo spirito" (8).

Lutero, insomma, si immaginava già nell'inferno: "Io soffrivo le torture dell'inferno, ne ero divorato. Mi assaliva perfino la tentazione di bestemmiare contro Dio, quel Dio rozzo, iniquo. Io avrei mille volte preferito che non ci fosse Dio!" (9).


2.
 L'apostasia di Lutero. La dottrina della giustificazione


Lutero non faceva nulla per lottare contro i suoi difetti. I suoi confratelli agostiniani lo descrivevano come "nervoso, di umore molto sgradevole, arrogante, ribelle, sempre pronto a discutere e ad insultare". Egli stesso dirà di sé: "Io mi lasciavo prendere dalla collera e dall'invidia" (10).

Eccitato da cattive letture, orgoglioso al punto di non accettare nessuna autorità, Lutero cominciò a contestare diversi punti della dottrina cattolica fino a rigettarli quasi completamente.

Lutero difendeva le sue rivoluzionarie idee in modo arrogante, ritenendosi "l'uomo della Provvidenza, chiamato per illuminare la Chiesa con un grande bagliore". "Chi non crede con la mia fede è destinato all'inferno — proclamava —  La mia dottrina e la dottrina di Dio sono la stessa cosa. Il mio giudizio è il giudizio di Dio" (11).

In un'altra lettera ecco cosa dice di se stesso: "Non vi sembra un uomo stravagante questo Lutero? Quanto a me, penso che egli sia Dio" (12). Sulle sue dottrine egli asseriva ancora: "Sono certo che i miei dogmi vengono dal cielo. Io vincerò, il Papato crollerà nonostante le porte dell'inferno!" (13).

Fu in queste lamentevoli condizioni spirituali che, verso la fine del 1518, successe ciò che Lutero stesso ha chiamato «das Turmerlebniss», l'avvenimento della Torre, vero punto di partenza del protestantesimo. In cosa è consistito questo «Turmerlebniss»? Lutero stava, molto prosaicamente, seduto al WC nella torre che serviva di bagno del monastero, quando improvvisamente ebbe un'"illuminazione" che lo fece "pensare in un'altro modo":

"Le parole giustizia e giustizia di Dio — scrive Lutero  — si ripercuotevano nel fondo della mia coscienza come un fulmine che distrugge tutto. Io ero paralizzato e pensavo: Si Dio è giusto, egli punisce. E, siccome continuavo a pensare a ciò, sono improvvisamente venute al mio spirito le parole di Habacuc: Il giusto vive della fede. E ancora: La giustificazione di Dio si manifesta senza l'azione della legge. A partire da questo punto, io ho cominciato a pensare in altro modo" (14).

Questo "altro modo" era la dottrina della giustificazione per la sola fede, indipendente dalle opere, la pietra angolare del protestantesimo.

Secondo Lutero, i meriti sovrabbondanti di Nostro Signore Gesù Cristo assicurano agli uomini la salvezza eterna. All'uomo, quindi, basta credere per salvarsi: "Il Vangelo non ci dice cosa dobbiamo fare, esso non esige niente da noi. (...) [Il Vangelo dice semplicemente] credi e sarai salvato" (15)

Di conseguenza, su questa terra possiamo anche condurre una vita di peccato senza rimorsi di coscienza né timore della giustizia di Dio, poiché basta avere fede che siamo già salvati: "Anche se ho fatto del male, non importa. Cristo ha sofferto per me. A questo si riduce il cristianesimo. Dobbiamo sentire che non abbiamo peccato, anche quando abbiamo peccato. I nostri peccati aderiscono a Cristo, che è il salvatore del peccato" (16).

Lutero anzi sosteneva che, per rafforzare la nostra fede, dobbiamo peccare sempre di più. Così rimarrà chiaro che è Cristo che ci salva e non noi. Quest'idea Lutero la sintetizzava nella sua nota formula: esto peccator et pecca fortiter. In una lettera all'intimo amico Melantone del 1° agosto 1521, Lutero afferma: "Sii peccatore e pecca fortemente ma con ancora più fermezza credi e rallegrati in Cristo. (...) Durante la vita presente dobbiamo peccare" (17).

Scrivendo a un'altro seguace, Lutero diceva ugualmente: "Devi bere con più abbondanza, giocare, divertirti e anche fare qualche peccato. (...) In caso il diavolo ti dica: Non bere! Tu devi rispondere: in nome di Gesù Cristo, berrò di più! (...) Tutto il decalogo deve svanirsi dagli occhi e dall'anima" (18).

A un'altro amico, egli scrisse ancora: "Dio ti obbliga solo a credere. In tutte le altre cose ti lascia libero e signore di fare quello che vuoi, senza pericolo alcuno di coscienza. Egli non se ne cura, quando anche lasciassi tua moglie, abbandonassi il tuo padrone e non fossi fedele ad alcun vincolo" (19).

Ovviamente, le conseguenze dell'applicazione di queste dottrine non potevano essere altro che il dilagare del peccato e del vizio. Lutero stesso lo ammette. Per quanto riguardava i suoi seguaci protestanti, egli scriveva: "Sono sette volte peggiori di una volta. Dopo la predicazione della nostra dottrina, gli uomini si sono dati al furto, alla menzogna, all'impostura, alla crapula, all'ubriachezza e a ogni genere di vizi. Abbiamo espulso il demonio — il papato — e ne sono venuti sette peggiori" (20).


3.
 Un uomo pieno di vizi


Il primo a piombare nel vizio è stato proprio lui. Il 13 giugno 1521, scrisse a Melantone: "Io mi trovo qui insensato e indurito, sprofondato nell'ozio, pregando poco e senza più gemere per la Chiesa di Dio, perché nelle mie carni indomite ardo di grandi fiamme. Insomma, io che dovrei avere il fervore dello spirito, ho il fervore della carne, della libidine, della pigrizia, dell'ozio e della sonnolenza" (21).

In un'altro scritto, Lutero è altrettanto chiaro: "Sono un uomo esposto e coinvolto nella vita di società, nella crapula, nelle passioni carnali, nella negligenza ed in altre molestie" (22).

Lutero rapì dal convento una monaca cistercense, Caterina Bora, e la prese per amante. Nel 1525, "per chiudere le cattive lingue", secondo quanto dichiarava, l'ha sposata, nonostante tutte e due avessero fatto voto di castità. Lutero aveva una chiara nozione della riprovevole azione che aveva compiuto. Egli scrisse al riguardo: "Con il mio matrimonio sono diventato così spregevole che gli angeli rideranno di me e i demoni piangeranno" (23).

Ma Caterina non fu l'unica donna nella sua vita. Egli aveva la brutta abitudine di avere rapporti carnali con monache apostate, che egli stesso addescava dai conventi. Su di lui scrive il suo seguace Melantone: "Lutero è un uomo estremamente perverso. Le suore che egli ha tirato fuori dal convento lo hanno sedotto con grande astuzia ed hanno finito col prenderlo. Egli ha con loro frequenti rapporti carnali" (24).

Lutero non faceva segreto della sua immoralità. In una lettera all'amico Spalatino leggiamo infatti: "Io sono palesemente un'uomo depravato. Ho tanto a che fare con le donne, che da un po' di tempo sono diventato un donnaiolo. (...) Ho avuto tre mogli allo stesso tempo, e le ho amate così ardentemente che ne ho perse due, andate a vivere con altri uomini" (25).

Lutero aveva anche il vizio dell'ubriachezza e della gola. "Nel bere birra — affermava — non c'è nessuno che si possa paragonare a me". E in una lettera a Caterina, diceva: "Sto mangiando come un boemio e bevendo come un tedesco. Lodato sia Dio!" (26). Verso la fine della vita, l'ubriachezza lo dominava totalmente: "Spendo le mie giornate nell'ozio e nell'ubriachezza" (27).


4.
 Bestemmiatore


Ma forse in nessun altro campo si è manifestato tanto il cattivo spirito di Lutero quanto nella sua tendenza a bestemmiare, specie contro la Chiesa ed il Papato. Seguono alcuni esempi, tutti tratti dalle sue lettere e sermoni:

"Certamente Dio è grande e potente, buono e misericordioso, ma è anche stupido. È un tiranno" (28).
"Cristo ha commesso l'adulterio una prima volta con la donna della fontana di cui ci parla Giovanni. Non si mormorava intorno a lui: Che ha fatto dunque con essa? Poi ha avuto rapporti sessuali con Maria Maddalena, quindi con la donna adultera. Così Cristo, tanto pio, ha dovuto anche lui fornicare prima di morire" (29).

Lutero fa di Dio il vero responsabile del tradimento di Giuda e della rivolta di Adamo. "Lutero — commenta lo storico protestante Funck Brentano — arriva a dichiarare che Giuda, tradendo Cristo, agì per imperiosa decisione dell'Onnipotente. La sua volontà [di Giuda] era diretta da Dio; Dio lo muoveva con la sua onnipotenza. Lo stesso Adamo, nel paradiso terrestre fu costretto ad agire come agì. Egli fu messo da Dio in una situazione tale che gli era impossibile non cadere" (30).

"Tutte le case chiuse, tutti gli omicidi, le morti, i furti e gli adulteri sono meno riprovevoli che l'abominazione della Messa papista"(31).

Non meraviglia che, mosso da tali idee, Lutero scrivesse a Melantone a proposito delle sanguinose persecuzioni di Enrico VIII contro i cattolici inglesi: "È permesso abbandonarsi alla collera, quando si sa che specie di traditori, ladri e assassini sono i papi, i loro cardinali, i loro legati. Piacesse a Dio che vari re di Inghilterra si impegnassero a farli scomparire" (32).

"Perché non acchiappiamo papa, cardinali e tutta la cricca della Sodoma romana e ci laviamo le mani con il loro sangue?" (33).
 
"La corte di Roma è governata per un vero Anticristo, di cui ci parla S. Paolo. (...) Credo di poter dimostrare che, nei giorni nostri, il Papa è peggio dei turchi" (34).

"Così come Mosè ha distrutto il vitello d'oro, così dobbiamo fare noi con il papato, fino a ridurlo in ceneri. (...) Vorrei abolire tutti i conventi, vorrei farli sparire, raderli al suolo (...) affinché di essi non rimanga sulla terra neanche la memoria" (35).

Nella risposta alla bolla di scomunica, Lutero scrisse con arroganza: "Io e tutti i servi di Gesù Cristo riteniamo ormai il trono pontificio occupato da Satana, come la sede dell'Anticristo, noi ci rifiutiamo di ubbidire" (36).

Lutero è morto in mezzo a orribili bestemmie contro il Papato, contro la Chiesa e contro i santi. Sentendo arrivare la fine, ha dettato una "preghiera" che finiva così: "Muoio odiando il Papa. (...) Vivo, io ero la tua peste, morto sarò la tua morte, o Papa!"

Note_____________________________
1. Dietrich Emme, Martin Luther, Seine Jugend und Studienzeit 1483-1505. Eine dokumentarische Darstellung, (Bonn, 1983).
2. In Dietrich Emme, Warum ging Luther ins Kloster? In Theologishes, 1984, pp. 6188-6192.
3. Id. Ibid. Emme cita il documento originale: Wa W, 29, 50, 18.
4. W.M.L. de Wette, Luther, M., Briefe, Sendshreiben und Bedenken vollstandig Gesammelt, Berlino, 1825-1828,  I, p. 41.
5. Id., ibid., I, 323.
6. Franz Funck Brentanno, Luther, Parigi, Grasset, 1934, pp. 29-39.
7. Martin Luther,  Werke, ed. Weimar, 1883, I, 487. Tischrede del 5 maggio 1532.
8. Brentanno, op. cit., p. 53.
9. Id., ibid., p. 32.
10. Id., ibid.
11. D. Martin Luther, Werke, ed. di Weimar, 1883, X, 2, Abt. 107.
12. Martin Luther, Werke, ed. di Wittemberg, 1551, t. IV, p. 378.
13. D. Martin Luther, Werke, Weimar, X, 2, Abt. 184.
14. Brentanno, op. cit., pp. 65-73.
15. D. Martin Luther, Werke, Weimar, XXV, 329.
16. Id. Ibid., XXV, 331.
17. De Wette, op. cit., II, p. 37.
18. De Wette, op. cit., ibid.
19. Werke, ed. Weimar, XII, p. 131.
20. Werke, ed Weimar, XXVIII, p. 763.
21. De Wette, op. cit., II, p. 22.
22. De Wette, op. cit., I, 232.
23. De Wette, op. cit., III, 2,3.
24. De Wette, op. cit., III, 3.
25. De Wette, op. cit., III, 9.
26. In Carl August Burkardt, Dr. Martin Luther, Briefwechsel, Leipzig, 1886, p. 357.
27. De Wette,op. cit., II, 6.
28. Martin Luther,  Tischreden, No. 953, Werke, ed. Weimar, I, 487.
29. Martin Luther, Tischreden, No. 1472, Werke, ed Weimar, XI, 107.
30. Brentanno, op. cit., p. 246.
31. Martin Luther, Werke, ed. Weimar,  XV, 773-774.
32. Brentanno, op. cit., p. 354.
33. Id., ibid., p. 104.
34. Id., ibid., p. 63.
35. Martin Luther, Werke, ed. Weimar, VIII, 624.
36. Citato Brentanno, op. cit., p. 100.